«NOI SIAMO L’ENFASI SULL’ALTA QUALITÀ»
Intervista a Fabrizio Filippi, presidente del Consorzio Olio Extravergine di Oliva Toscano IGP
di Benedetto Colli
È forse possibile immaginare la Toscana senza il suo paesaggio, fatto di oliveti spesso ultracentenari che da colline che sembrano dipinte digradano dolcemente verso le pianure e il mare? Ed è forse possibile immaginare il mondo dell’olio italiano senza l’Olio Extravergine di Oliva Toscano IGP, il cui Consorzio, costituito nel 1997, rappresenta più di 11.000 associati (tra i quali più di 300 frantoi, ovvero circa l’80% della regione, e oltre 400 imbottigliatori), a livello numerico il più importante Consorzio italiano di olio certificato e per quasi 20 anni, dal 1998 al 2016, la sola IGP olearia del Belpaese? Fabrizio Filippi è dal 2006 il garante di questo universo gastronomico ed emozionale. Pisano ma nato a Livorno, classe 1964, è presidente non solo del Consorzio, ma anche di Coldiretti Toscana e di FederDop Olio (la federazione nazionale dei consorzi per la tutela delle denominazioni di origine protetta degli oli evo italiani).
Storicamente, quando comincia la lavorazione dell’olio in Toscana?
«È stata una produzione importante sin dal VII secolo a.C., al tempo degli Etruschi. Pensi che a Buti, in provincia di Pisa, c’è un oliveto a forma di testa di aquila che risale agli anni del Medioevo. Fu piantato seguendo questo disegno per ringraziare l’imperatore Ottone II di aver fatto dono al comune delle insegne imperiali nel 973. Tuttavia, a sviluppare l’olivicoltura moderna e l’attuale fisionomia degli oliveti a terrazzamento sono stati i Medici prima e i Lorena poi».
Fruttato, amaro, piccante, deciso ma ben equilibrato: cosa rende unico l’Olio Toscano rispetto agli altri oli evo italiani?
«La caratteristica principale non è banale, sebbene possa sembrarlo: è un blend di quattro o cinque varietà autoctone dominanti, quali frantoio, leccino, moraiolo e pendolino, tra le oltre 80 presenti in regione. Ma mentre negli oli del resto d’Italia c’è sempre la predominanza di un’oliva, nell’olio toscano nessuna domina sull’altra».
Come stanno andando le vendite in patria e nei mercati esteri?
«La richiesta è importante e crescente, ma purtroppo in questi ultimi anni non le ha fatto riscontro un adeguato aumento di produzione. Anzi, c’è stato addirittura un calo medio. Speriamo che l’entrata in funzione di tanti nuovi impianti, prevista nei prossimi anni, ci aiuti a contrastare questo fenomeno. Bisogna sottolineare inoltre che la richiesta è molto più consistente all’estero che in Italia, ma è un fenomeno quasi scontato, considerato l’appeal che ha il richiamo alla Toscana in mercati quali gli Stati Uniti, la Germania o il Giappone».
Come avete vissuto l’emergenza Covid?
«La pandemia ha danneggiato soprattutto i consorziati che commerciavano principalmente negli ambiti dell’Horeca, dell’alta ristorazione e dei piccoli rivenditori, quindi spesso è stata la produzione d’eccellenza a essere stata colpita. Per quanto riguarda la grande distribuzione, invece, abbiamo sicuramente riscontrato meno problemi».
Qual è la sua opinione sul Nutriscore?
«Nettamente negativa. In Coldiretti stiamo portando avanti una vera e propria battaglia contro il messaggio profondamente sbagliato che veicola. Ridurre le sfaccettature di un prodotto di qualità a un semplice semaforo è fuorviante. È volutamente in malafede e sbagliato nella sua impostazione: nessuno consuma 100 millilitri di olio al giorno».
Quanto è importante per voi fare cultura di prodotto?
«È fondamentale. Non possiamo dare per scontato che il consumatore sia informato su tutte le caratteristiche dell’olio e sul valore importantissimo della sua origine. Dobbiamo soprattutto comunicare l’aspetto salutistico, rappresentato dall’alto contenuto di polifenoli e di antiossidanti presente nell’olio di alta qualità. Metta enfasi su queste ultime due parole».
Lo ha fatto lei. Il disciplinare stabilisce che tutte le fasi del processo produttivo devono avvenire all’interno del territorio della Toscana. È un regolamento molto più stringente di quello della media delle IGP. Avete mai cercato di ottenere il riconoscimento della DOP?
«Eccome, presentammo prima proprio la domanda per la DOP. In quegli anni, ogni comune della Toscana poteva vantare un prodotto che aveva presentato la stessa richiesta. Nel nostro caso, Bruxelles bocciò l’iniziativa con la motivazione che gli oli toscani sono troppo diversi tra loro per essere associati. Decidemmo quindi di chiedere il riconoscimento dell’IGP, ottenuto nel 1998, pur mantenendo lo stesso disciplinare della DOP. Oggi è proprio questa la nostra forza: tutte le fasi di coltivazione e lavorazione, dalla raccolta e molitura delle olive fino al confezionamento del prodotto, devono essere svolte obbligatoriamente in Toscana. È stata una scelta che ha conquistato produttori e mercato, aprendo la strada ad altre esperienze simili in Sicilia, Calabria, Marche…».
Il webinar Born in Tuscany ha segnato un nuovo passo nella vostra storica collaborazione con il Consorzio del Prosciutto Toscano. Avete altri progetti comuni nel futuro?
«Non le anticipo nulla, ma le dico che stiamo proprio discutendo un’idea insieme al terzo consorzio con cui abbiamo entrambi un rapporto stretto: quello del Pecorino Toscano DOP».
In cucina, come abbinerebbe insieme l’Olio Evo Toscano e il Prosciutto Toscano?
«Chiaramente, la soluzione più semplice sarebbe coinvolgere un altro elemento fondamentale: il pane toscano. Tuttavia, soprattutto in estate, amo accompagnare un filo di olio e il Prosciutto Toscano a una bella fetta di melone».
Qual è secondo lei la caratteristica che rende unica la cucina toscana?
«Le sembrerà banale: la semplicità».
Non c’è niente di meno banale della semplicità.
«Non ci sono piatti arzigogolati o barocchi nella nostra gastronomia, solo prodotti di alta qualità. Pensi alla pappa al pomodoro: pane raffermo, pomodoro, olio».
Quali sono i progetti futuri del Consorzio?
«Vogliamo lavorare sulla valorizzazione del marchio e, soprattutto, sulla già citata rivalorizzazione del patrimonio olivicolo della Toscana. Il nostro paesaggio fatto di oliveti storici e ultracentenari, copiato e ammirato in tutto il mondo, oggi viene sempre più spesso abbandonato per gli alti costi di manutenzione. Recuperarlo e inserirlo in un percorso turistico ed emozionale è per me anche un personale sogno nel cassetto».