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«LA NOSTRA È LA STORIA DELLA TOSCANA»

Intervista ad Andrea Righini, direttore del Consorzio Tutela del Pecorino Toscano DOP

di Benedetto Colli

Se si dedica il proprio lavoro alla promozione e tutela di un formaggio che si produce ininterrottamente sin dal tempo degli Etruschi (ne parla persino Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia), per un consorzio nato 37 anni fa e che ha ottenuto la DOP ben 25 anni fa, è inevitabile prepararsi a una lunga stagionatura. Non stupisce dunque che Andrea Righini, grossetano, classe 1964, sia al servizio del Consorzio Tutela del Pecorino Toscano DOP (e dei 900 allevatori di cui circa 200 associati, dei 17 caseifici, dei due stagionatori e del confezionatore in esso riuniti) da ben 34 anni, gli ultimi 25 dei quali passati in prima linea nel ruolo di direttore.

Qual è la storia del Pecorino Toscano?
«È la storia stessa della Toscana. In questi territori, l’allevamento è iniziato ben 5000 anni fa e il formaggio con il latte di pecora si fa da quasi tre millenni, dal tempo degli Etruschi. Le prime testimonianze, ossia alcuni strumenti di lavoro e alcune statuette e affreschi di casari ante litteram, risalgono al 500 avanti Cristo. Tuttavia, è solo dal I secolo della nostra era che si inizia a usare il sale per la conservazione del formaggio, e di conseguenza si scopre la stagionatura».

Come stanno andando le vendite in Italia e nei mercati esteri?
«Bene dal punto di vista delle quantità. In certi momenti, però, è mancata la materia prima: a causa della siccità, si era interrotta la fornitura di latte nel periodo primaverile ed estivo, ovvero proprio nel momento della massima produzione. Abbiamo quindi fatto fatica ad andare incontro alla domanda del mercato».

Il Consorzio e la filiera come hanno vissuto l’emergenza Covid?
«Per fortuna non abbiamo avuto stravolgimenti nell’attività dei caseifici, perché il sistema di autocontrollo interno che abbiamo intrapreso anni fa si è rivelato efficace. Tuttavia, le aziende che storicamente erano indirizzate alla platea dei piccoli commercianti e dell’Horeca hanno molto sofferto. Chi invece si rivolgeva alla grande distribuzione ha registrato anche un incremento, soprattutto nell’ambito del preconfezionato».

Qual è la sua opinione sul Nutriscore?
«La stessa che spero abbiano tutti in Italia: che è imbarazzante. È un sistema che presuppone che si mangino quotidianamente 100 grammi di pecorino, o si bevano 100 millilitri di olio d’oliva. È una proposta totalmente fuori dalla realtà. Nell’etichetta nutrizionale che adottano gli Stati Uniti c’è una caratteristica che dovrebbe far riflettere: l’unità di vendita ipotizzata come consumo medio giornaliero. Questo è un modo sensato di approcciare il tema della tutela del consumatore. Il Nutriscore invece è massificante e insensato».

Quanto sono importanti per voi la sostenibilità e il legame con il territorio?
«Radici storiche a parte, il legame con il territorio è ciò che dona al Pecorino Toscano la sua ricchezza. Dalla montagna alla collina, la vastità territoriale e le particolarità ambientali dell’area di produzione gli donano una grande varietà di sfumature. La sostenibilità, invece, è un tema che abbiamo cominciato ad affrontare circa 12 anni fa. Non per moda, ma in nome della qualità del prodotto. Rendere gli allevamenti sostenibili dal punto di vista economico, ambientale ed etico è sempre più fondamentale. Come Consorzio cerchiamo di trasmettere questo valore alle aziende e di aiutarle nel risolvere i problemi del lavoro, che oggi è molto più faticoso rispetto a qualche anno fa».

Con la serie di webinar Cut & Share, avete inaugurato una nuova collaborazione con il Consorzio del Prosciutto Toscano. Da cosa nasce questa iniziativa?
«È partita dalla stima e dall’amicizia che ci lega al Consorzio del Prosciutto Toscano e dal fatto che i nostri prodotti sono complementari, sia nella presentazione che nei consumi generali. Rispetto alle collaborazioni che abbiamo con altri consorzi, questa è più strutturata e prevede un programma triennale abbastanza intenso. Le cose stanno andando bene e speriamo di lavorare insieme ancora a lungo».

In cucina, come utilizzerebbe insieme il Pecorino Toscano e il Prosciutto Toscano?
«In tantissimi modi, dai primi ai secondi piatti. Per esempio, lo chef di un ristorante canadese creò una gricia utilizzando questi ingredienti al posto del pecorino romano e del guanciale, ovviamente lasciando il prosciutto più morbido e leggermente croccante. O ancora, gli involtini alla romana con sopra una scaglia di pecorino e una fetta di prosciutto, messe a fine cottura per farle sciogliere leggermente. Sono piatti gustosi che sulla mia tavola hanno sempre successo».

Qual è secondo lei la caratteristica che rende unica la cucina toscana?
«È una cucina in cui le materie prime sono sapide senza essere esageratamente forti. Se in una ricetta si usano cinque prodotti, il palato riesce sempre a percepirli distintamente tutti e cinque».

Sono già passati più di 30 anni da quando ha iniziato a lavorare nel Consorzio.
«Purtroppo sì (ride)».

Perché scelse questa realtà?
«Nel giugno 1988, il Consorzio, la cui sede principale era allora a Firenze, decise di aprire un distaccamento a Grosseto, dove a tutt’oggi si produce oltre il 70% del latte utilizzato per il Pecorino Toscano. Cercava due tecnici per andare a fare i controlli nei caseifici. Mi offrii perché sono un perito agrario e mi è sempre piaciuta molto la parte tecnica del lavoro. In seguito, iniziai anche a promuovere il prodotto, un’attività che divenne sempre più preponderante. Ho imparato tantissimo da persone di grande esperienza, quindi quando mi hanno proposto il ruolo di direttore ho accettato con l’orgoglio di poter fare la mia parte per il Consorzio».

Quali sono i progetti futuri del Consorzio?
«Tanti. Troppi, forse (ride). Quello a cui tengo maggiormente è arrivare a una certificazione della sostenibilità del prodotto. Stiamo lavorando a più livelli su tutta la filiera per ottenerlo».

Qual è un suo sogno nel cassetto?
«Aprire una mia azienda agricola».