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«SONO IO IL FALCONIERE»

Intervista a Silvia Baracchi, patron del Relais & Chateaux Il Falconiere di Cortona, unica Stella Michelin della provincia di Arezzo

di Benedetto Colli

Dal 2002, sul suo ristorante brilla l’unica Stella Michelin della provincia di Arezzo, a cui si aggiungono prestigiosi riconoscimenti conferiti dalle più autorevoli guide italiane e internazionali. Ciò nonostante, al primo contatto mi ha subito imposto l’uso del «tu» e durante l’intervista si è data due definizioni molto concrete, scevre dalla boria che tanto spesso si incontra nelle realtà d’eccellenza: «etrusca» e «falconiere». E non si può che immaginarla con un falco al polso Silvia Baracchi, la Ladyhawke di Cortona, chef patron del Relais & Châteaux Il Falconiere & Spa, antica villa del XVII secolo immersa tra le colline e le vigne della Val di Chiana. Nata a Perugia ma cresciuta in questa zona dell’Etruria toscana, Silvia ha accumulato numerose esperienze con chef di fama internazionale che le hanno permesso di sviluppare la sua idea di cucina, fatta di ingredienti rigorosamente locali selezionati secondo criteri etici e salutistici, in linea con la sua filosofia del «chilometro vero». Del 1989 è l’apertura del Falconiere, allora solo ristorante, e del 2002 la Stella Michelin, volute e ottenute con la stessa forza che le ha permesso di non fermarsi neppure di fronte agli enormi danni causati dalla pandemia di Covid e alla tragica scomparsa, nell’ottobre 2021, di suo marito Riccardo, l’altra metà del Falconiere, di cui gestiva con il figlio Benedetto la cantina e i 32 ettari di vigneto.

Quando inizia il tuo amore per la cucina?
«Sono nata in una famiglia di ristoratori e penso sia una cosa che si eredita nei geni. Non è possibile svegliarsi e improvvisare. Devi averlo dentro. È una chimica, una passione che matura nel tempo».

Quali sono le caratteristiche principali della tua cucina?
«La territorialità e la stagionalità. Al Falconiere abbiamo una vigna, l’oliveto, l’orto, le erbe aromatiche. Sembra un luogo comune dirlo, ma la fame nasce anche dallo stimolo visivo di ciò che vediamo nel luogo in cui viviamo. Mi lascio influenzare poco da mode e tendenze, sono più legata alla tradizione. Soprattutto, cucino ciò che piace a me. Non sono per le preparazioni “aeree” o emozionali, i miei sono piatti molto masticabili, bisogna sentirne il gusto. Inoltre, lavorando in Toscana, faccio sempre attenzione che i miei piatti siano abbinabili con i vini del territorio».

Ho visto che nella tua struttura si tengono corsi di falconeria, che tu stessa pratichi. Cosa vi lega a quest’arte al punto da dedicargli il nome del relais?
«È una tradizione molto sentita nella nostra famiglia e nello stile di vita in queste terre. Falconiere e falco devono diventare un tutt’uno, quindi il rapace va addestrato dai due mesi di età. Il falco ti riconosce in mezzo a mille persone. È un animale incredibile, mi basta parlarne per farmi venire la pelle d’oca. Ogni falco ha la sua personalità e le sue caratteristiche, ognuno di loro è un mondo da scoprire. È impegnativo, andrebbe allenato tutti i giorni. Sono più di 20 anni che vivo con loro e dopo tanto tempo sono ancora in grado di stupirmi. Tutte le volte sono come la prima».

Nel tuo curriculum su Linkedin, esordisci affermando: «Sono veramente etrusca!». Cosa ritrovi in te stessa di questo popolo?
«Erano estremamente colti e raffinati, una società sensibile e potente fondata sul matriarcato. Curavano molto l’arte dell’ospitalità e persino quella di apparecchiare la tavola. Esisteva già in nuce l’idea del cucinare, vissuta come una cerimonia ben più elegante delle bolge dei romani. Per loro, come per me, l’ospitalità era uno stile di vita. Non a caso, in questi territori è stata recuperata la Tabula Cortonensis, uno dei reperti più importanti sulla lingua etrusca, in cui è riportata la presenza in zona di un vigneto e di un oliveto già nel 270 a.C.».

Quali sono le particolarità della cucina e degli ingredienti della zona di Cortona?
«Innanzitutto, siamo in Val di Chiana, quindi di certo non può mancare la chianina. Se non la utilizzo io, chi dovrebbe farlo?! Attingo soprattutto dagli allevatori del luogo, per avere la carne migliore. Oggi la cucina toscana sta vivendo una sorta di piccola globalizzazione, con molte idee che vengono da fuori regione. Ma io amo gli ingredienti locali, quali la cacciagione, il cavolo nero, usato per la ribollita e per l’acqua cotta, il tartufo, l’aglione della Val di Chiana, il cosiddetto “aglio a prova di bacio”. I piatti della nonna, in sostanza. E poi, ovviamente, il Prosciutto Toscano DOP, un prodotto di enorme eccellenza che mangio soprattutto alla maniera tradizionale, con il pane sciocco, per esaltarne la bella sapidità. Diventa quasi una prima portata, più che un antipasto».

Come vi ha colpito l’emergenza sanitaria dell’ultimo anno e mezzo?
«Duramente, come tutti quelli che fanno questo mestiere. Di solito facciamo progetti a lunga scadenza, ma a queste condizioni è stato impossibile. Qui a Cortona poi si lavora molto con l’estero, soprattutto con gli Stati Uniti. È stata un’annata diversa: abbiamo accolto principalmente un pubblico italiano. In molte realtà, anche la ristorazione si è modificata per adattarsi a un gusto più facile e diffuso. Io ho preferito non snaturare la mia cucina e, con essa, la mia identità e la tradizione che rappresenta. Siamo poi stati in ansia per i nostri collaboratori e dipendenti, che per noi sono come una famiglia. Spesso si sono dovuti allontanare da questo lavoro, alcuni purtroppo non solo temporaneamente. C’è chi è diventato programmatore di computer, chi autista di pullman. Una volta riaperto, la difficoltà è stata quella, talvolta insormontabile, di trovare il personale. Questo è un lavoro che già di suo richiede sacrifici e tanta passione, ma in questa emergenza non abbiamo ricevuto nessun tipo di aiuto dalle istituzioni. È stata una sofferenza».

A questa situazione già difficile, si è aggiunto in ottobre il dramma della scomparsa di tuo marito Riccardo.
«Lavoravamo in sinergia, lui in cantina con nostro figlio Benedetto e io tra i fornelli: una combinazione perfetta. Quello con mio marito è stato l’incontro più speciale della mia vita: mi ha permesso di diventare ciò che ero destinata a essere e a costruire insieme questa realtà meravigliosa».

Qual è il tuo obiettivo per il futuro?
«Andare avanti, continuando a percorrere la strada intrapresa con Riccardo: quella di rendere sempre più attuale e armonioso Il Falconiere, creare nuovi piatti e, per finire, costruirmi un pollaio. Ho sempre sognato di poter dire che uso le uova delle mie galline: è giunta l’ora di farlo. Tutti obiettivi per migliorare le aspettative dei nostri ospiti».