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«UNA REGINA BIANCA IN UN TERRITORIO DI RE ROSSI»

Intervista a Irina Strozzi, presidente del Consorzio del Vino Vernaccia di San Gimignano

di Benedetto Colli

«La Vernaccia di San Gimignano è una donna che sa quello che vuole»: quando una persona volitiva come Irina Gucciardini Strozzi, fiorentina, classe 1982, presidente del Consorzio del vino più rappresentativo della città delle 14 torri, fa un’affermazione simile, si è subito portati a pensare che in realtà, in una sorta di transfert enologico, stia parlando di sé stessa. Al contrario, ribadisce subito il punto: «Nel mondo del vino, soprattutto dei bianchi, esistono bottiglie molto aromatiche, che esprimono tanti profumi diversi. La Vernaccia, invece, è sempre molto chiara, diretta, severa. Soprattutto severa: è un vino che dev’essere approcciato, conosciuto e capito, prima di potersene innamorare perdutamente per il resto della vita. In particolare, in un’annata difficoltosa dal punto di vista climatico come il 2021, ha dimostrato di essere decisa sia a livello quantitativo che qualitativo».
Nessun vino italiano vanta una denominazione dalla storia lunga come quella della Vernaccia di San Gimignano: nel 1966 fu la prima a ottenere la Doc. Nel 1972, esattamente 50 anni fa, venne fondato il Consorzio, che oggi rappresenta 170 aziende, inclusi i produttori che, come da Disciplinare, operano su oltre 730 ettari interni al territorio di San Gimignano. Nel 1993, infine, ha ricevuto il riconoscimento della Docg, a oggi l’unica assegnata a un vino bianco toscano. È quasi una tragica ironia che questo vino paradisiaco, dai riflessi dorati, sia anche l’unico celebre per aver destinato al Purgatorio un suo estimatore: papa Martino IV, che viene additato a Dante nella seconda cantica della Divina commedia come vittima della sua passione per «l’anguille di Bolsena e la vernaccia». Il Sommo poeta, pure, non doveva disdegnarne un bicchiere ogni tanto: non a caso, è l’unico vino citato esplicitamente nel suo opus magnum.

Dante a parte, qual è la storia della Vernaccia di San Gimignano Docg?
«I primi documenti ufficiali, ovvero le gabelle sul vino stabilite dal Comune di San Gimignano, risalgono al 1276. Ai tempi la produzione era già in auge, come dimostra la citazione nella Commedia. Nel corso dei secoli successivi, è stata la protagonista delle tavole di ricchi mercanti, papi e signori quali i Medici, gli Sforza, i Visconti. Era una rappresentante della cultura del tempo e la regina dei banchetti. Anche Giorgio Vasari l’ha esplicitamente celebrata nell’Allegoria di San Gimignano e Colle Val d’Elsa, dipinta nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze».

Quali sono le particolarità della Vernaccia di San Gimignano?
«È la regina bianca in un territorio di re rossi. È unica nel suo genere, nobile per la sua storia, una ribelle che rompe gli stereotipi associati ai vini bianchi. Sia perché esprime tutto il suo potenziale nel tempo, sia perché è un vino dagli ampissimi abbinamenti: dai piatti tradizionali toscani a pesce, carni bianche, salse e, perché no, piatti etnici. Oltre, naturalmente, al Prosciutto Toscano Dop».

Di fatti, quando gli ho domandato con che vino abbinerebbero il Prosciutto Toscano, sia Andrea Gori, giornalista e sommelier della storica trattoria Da Burde, sia Adua Villa, personaggio televisivo, sommelier pluripremiata e docente dei corsi di formazione dell’Ais, sono stati concordi: la Vernaccia di San Gimignano. Perché si legano così bene?
«Proprio perché è un vino particolare, che quasi si adatta al cibo che accompagna. In particolare, ha una buona sapidità e un corpo e una struttura tali che le permettono di sposarsi felicemente con il Prosciutto Toscano».

Come nasce la collaborazione con il Consorzio del Prosciutto Toscano Dop?
«Abbiamo avuto modo di lavorare insieme in più occasioni, anche per eventi di promozione in loco. Ci è piaciuta molto questa cooperazione perché ci ha permesso di affiancare due prodotti toscani di qualità assoluta. Speriamo con tutto il cuore di ripetere l’esperienza in futuro».

Quanto è importante che i consorzi del territorio facciano sistema?
«Tantissimo. È proprio ciò che dal 2016 stiamo facendo nel mondo enologico con A.Vi.To., l’Associazione vini toscani a Dop e a Igp, il “consorzio dei consorzi”: collaborare per delineare un percorso comune. Soprattutto in emergenze come quella del Covid, in cui abbiamo dovuto rivedere il nostro modo di operare sul mercato, è stato importante sentire che stavamo agendo come una squadra».

A questo proposito, come avete vissuto la pandemia?
«A livello territoriale, siamo riusciti a lavorare con tutta la comunità di San Gimignano. Ne siamo molto orgogliosi. Come Consorzio, abbiamo dato il via a una campagna di comunicazione e di degustazioni che avevano come obiettivo quello di ridefinire l’idea di Vernaccia sul mercato e di sfruttare canali più immediati per confrontarci con gli appassionati. L’impegno profuso ci ha premiato: nel 2021, le vendite sono cresciute del 12% non rispetto al 2020, ma al 2019, quindi agli anni pre-Covid. Sia in Italia che all’estero, dove i nostri mercati principali sono da sempre Stati Uniti e Germania».

Qual è la sua opinione sul Nutriscore?
«Penso che immagini già la mia risposta (ride). Ovviamente, sono totalmente contraria. Nella storia, il vino è uno dei prodotti più antichi che abbiamo, è legato a doppio filo alla cultura dell’uomo, è un testimone di come si sono evoluti i popoli. Ridurlo a un semaforo su un’etichetta mi sembra veramente limitante, se non ridicolo. Penso di parlare a nome di tutti i consorzi se dico che saremmo disponibili a partecipare a un processo di educazione al corretto utilizzo dei nostri prodotti. Non solo al consumo moderato, ma proprio alla cultura di cosa c’è dietro una bottiglia di vino o una coscia di prosciutto».

Quanto è importante per voi la sostenibilità?
«Il nostro è uno dei territori in cui i produttori dimostrano più attenzione al concetto della difesa dell’ambiente. C’è un orientamento fortissimo al bio. In queste ultime settimane, in collaborazione con l’Università di Pisa, abbiamo inaugurato un progetto legato alla lotta contro la tignoletta tramite la “confusione sessuale”: si rilascia nel vigneto un feromone di sintesi che va a interferire con quello emanato naturalmente dalle femmine; nell’ambiente così saturo, il maschio non riesce più a intercettare agevolmente le tracce e non può riprodursi. Questo ci permetterà di limitare considerevolmente l’uso degli insetticidi e salvaguardare la natura».

Qual è un suo sogno nel cassetto?
«Voglio vedere la Vernaccia di San Gimignano sulla tavola del Papa».