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«FACCIAMO SISTEMA PER PORTARE LA TOSCANA NEL MONDO»

Intervista ad Alessandro Iacomoni, presidente del Consorzio di Tutela della Finocchiona Igp

di Benedetto Colli

«Gli abili parrucchieri sono capaci di far sembrare piacente anche la donna più brutta; l’aroma della Finocchiona è in grado di camuffare anche il sapore del vino più imbevibile». Così un detto popolare della valle del Chianti, riferito all’antica vulgata secondo cui i contadini, per nascondere la scarsa qualità di un vino in vendita, fossero soliti offrire prima all’acquirente qualche fetta di questo salume, «insaporito» da una quantità di semi di finocchio esagerata rispetto alla ricetta. Così facendo, grazie al forte sapore dell’insaccato, anche le mescite meno pregiate sembravano deliziose. È dunque da questa valle che nasce una delle eccellenze gastronomiche della Toscana, la Finocchiona, che dal 2015 può fregiarsi del marchio di Indicazione Geografica Protetta. La zona di produzione, infatti, ricade nell’intero territorio della regione, isole escluse, area in cui deve essere svolto l’intero ciclo di lavorazione e di stagionatura (almeno cinque mesi di durata), comprese le operazioni di affettamento e confezionamento. Semplici gli ingredienti, lavorati con cura artigianale: carne di maiale macinata, semi o fiori di finocchio, aglio, sale e pepe, a cui si può aggiungere anche vino rosso. «È uno dei salumi toscani più antichi e ha un legame fortissimo con la storia e il territorio», sottolinea Alessandro Iacomoni, 44 anni, aretino, presidente al terzo mandato del Consorzio di Tutela della Finocchiona Igp, fondato nel 2015 per valorizzare, promuovere e tutelare in Italia e all’estero il lavoro dei 44 associati.

Qual è la storia della Finocchiona?
«È un prodotto che affonda le sue radici nel Medioevo. Già nel Quattrocento era diffusa tanto tra il popolo quanto negli ambienti nobiliari. Lo stesso Niccolò Machiavelli ne era un grande appassionato e non la faceva mai mancare sulla sua tavola».

La caratteristica unica è la presenza nell’impasto dei semi di finocchio: perché si decise di aggiungerli?
«Perché nel Medioevo vennero imposti pesanti dazi sulle spezie importate in Toscana, in particolare sul pepe. I norcini decisero di sostituirle con i semi della pianta che punteggiava le colline e i campi del territorio: il finocchio selvatico. È questo elemento a conferire al salume il suo sapore caratteristico, che gli permette di legarsi benissimo al pane sciocco».

Come vanno le vendite in Italia e all’estero?
«Entrambi i mercati sono in forte crescita e, nel 2021, hanno registrato incrementi importanti. È soprattutto sui paesi extra Ue che ci focalizziamo per il futuro. Sicuramente, ad aiutarci è anche il fatto di essere un prodotto della Toscana: questo è un biglietto da visita impareggiabile».

A livello di Consorzio e di filiera, come avete vissuto l’emergenza Covid?
«Inizialmente con grande paura. Per le singole aziende, il periodo è stato estremamente difficile. Come Consorzio abbiamo provato a lanciare un segnale di vicinanza a loro e al territorio, prima facendo una donazione all’ospedale di Careggi a Firenze, poi con un forte investimento pubblicitario e con il sostegno economico ai consorziati. Sono loro il nostro valore più grande. Per fortuna, c’è stato il lieto fine: nel 2021 abbiamo registrato il record storico di produzione, con due milioni e trecentomila chili di insaccato, impensabile anche solo sette anni fa, quando ottenemmo il riconoscimento della Igp».

Qual è la sua opinione sul Nutriscore?
«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere (ride). È un’opinione molto negativa, perché va a demonizzare i prodotti italiani d’eccellenza. Vino, salumi, formaggi: tutto ciò che fa la grandezza della dieta mediterranea. È un sistema che va rivisto nell’ottica di valorizzare quelle che sono le componenti positive di queste produzioni, senza cercare capri espiatori».

Quanto è importante per voi fare cultura di prodotto?
«È fondamentale. Dobbiamo far capire al consumatore quali sono le radici della Finocchiona, le sue tradizioni, gli ingredienti, la lavorazione artigianale, le caratteristiche, l’alta qualità, i personaggi e, soprattutto, l’evoluzione e il percorso futuro su cui vogliamo instradarla. Questo è il nostro obiettivo, anche in ottica di lotta alla contraffazione. Stiamo cercando di registrare la nostra denominazione nel maggior numero di paesi possibile e facciamo costantemente controlli a tappeto su Internet, segnalando i falsi all’Ispettorato. Certo, in alcune realtà incontriamo molta più difficoltà che in altre. Basti dire che abbiamo scoperto una Finocchiona prodotta negli Usa, uno spregio totale alla nostra storia e al nostro lavoro».

Come nasce la collaborazione con il Consorzio del Prosciutto Toscano Dop?
«C’è un legame potentissimo tra le nostre realtà: non solo molti dei nostri consorziati producono sia Prosciutto Toscano che Finocchiona, ma entrambi rappresentiamo e tuteliamo denominazioni di salumi toscani prodotti in maniera artigianale. Collaborando in termini di controlli, di marketing e di promozione, diamo un valore aggiunto alla nostra terra e ai nostri consumatori».

Quindi è importante che i consorzi del territorio facciano sistema?
«Assolutamente. Proprio in questi giorni, stiamo lavorando insieme al Prosciutto Toscano e ad altri consorzi regionali su progetti comuni relativi alla promozione all’estero. L’unione fa la forza: presentarsi come paniere di prodotti toscani di qualità è infinitamente più efficace che farlo con una singola Dop o Igp. Diventiamo i rappresentanti di una storia, di un luogo e delle sue eccellenze. Fare sistema e portare la Toscana nel mondo: è questo il modo per vincere i cuori dei consumatori esteri».

Un suo sogno nel cassetto?
«I risultati ottenuti finora con il Consorzio hanno avverato quasi tutti i miei sogni, ma vorrei arrivare velocemente a esportare la vera Finocchiona Igp negli Stati Uniti. Questa sarebbe la vera chiusura del cerchio».