«IL VINO È POP!»
Intervista a Adua Villa, la pioniera del parlare di vino in maniera “godereccia” e accessibile
di Benedetto Colli
«Storia e fattore umano: ecco cosa mi appassiona del vino». Se fosse necessario definire Adua Villa con una parola, sarebbe senz’altro “pop”. Sommelier pluripremiata e docente dei corsi di formazione dell’AIS (Associazione Italiana Sommelier), personaggio televisivo e radiofonico (La prova del cuoco, Unomattina, Tg5 Gusto, Decanter), giornalista (vanityfair.it, Diva e donna, F, Natural Style), blogger (aduavilla.com e globetrottergourmet.it), scrittrice (il suo Vino rosso tacco 12 è stato definito “il primo romanzo enologico”) è stata soprattutto la pioniera del parlare di vino in maniera “popolare”, accessibile al grande pubblico. «All’inizio mi hanno detto di tutto. Sono stata tacciata di essere un’ignorante e ho ricevuto anche una lettera dall’allora presidente dell’AIS, in cui mi accusava di essere una vergogna».
Addirittura? Qual era la tua colpa?
«Aver cercato di far empatizzare il pubblico con un prodotto che per sua natura è difficile da comunicare. Fino ai primi anni dello scorso decennio, il linguaggio del vino era solo quello dei sommelier. Anch’io, da docente dell’AIS, utilizzavo una terminologia molto tecnica. Finché, a fine anni Novanta, non sono stata catapultata alla Prova del cuoco. È lì che ho dovuto imparare a pormi al grande pubblico comunicando qualcosa che non è necessariamente interesse di tutti gli spettatori. La platea televisiva è molto diversa da quella dei corsi. Dovevo parlare alla signora Pina facendole venire voglia di abbinare ciò che le proponevo alla ricetta dello chef che aveva appena trascritto. Per me è questo il vino “pop”: quello che si beve quotidianamente. In compenso, oggi non c’è rivista in cui non si scriva di vini. Manca solo il Corriere dei piccoli!»
Lo farebbe di certo, se non avesse chiuso nel 1996. Com’è nata la tua passione per la materia?
«In maniera casuale. Il mio primo incontro avvenne in Sud America, dove sono nata e ho vissuto fino all’adolescenza. Bevvi il mio primo Cabernet in Cile e ricordo ancora lo stupore che provai. Ho poi iniziato i corsi da sommelier quasi da astemia: gustavo per lo più bollicine, ma non avevo una grande attenzione verso questo mondo. Il mio è stato un incontro anche culturale, perché seguii un corso universitario sull’importanza e il simbolismo del vino nelle religioni attraverso i millenni. Col senno di poi, è stato quello il momento in cui ho capito come il valore di questo prodotto vada al di là della bottiglia in sé. Ho iniziato quindi ad andare in grandi e piccole aziende a vedere di persona il lavoro. Lì ho compreso la centralità della Terra, una madre dai cui ritmi non si può prescindere. Basti pensare all’importanza dell’annata, dell’esposizione, dei terreni, degli uvaggi».
Qual è il tuo vino toscano preferito?
«Negli ultimi anni ho sviluppato una passione per due vini in particolare: il Rosso di Montalcino e il Morellino di Scansano. Il Rosso, che era un po’ tenuto nell’ombra dal cugino Brunello, si sta rivelando strepitoso: ha una grandissima intensità e freschezza, e parla la lingua del territorio in maniera molto netta e distinta. Il Morellino, invece, come altri vini della Maremma, ultimamente sta dimostrando un’eleganza e un equilibrio che vanno aumentando nel tempo».
Fortuna che non mi hai risposto con un prevedibile Sassicaia.
«Ma io so’ pop! Tutti a parlare dei grandi vini: ma io e te, quando mai ce lo apriamo un Sassicaia?! Il mio approccio alla vita è più godereccio».
Quali sono le caratteristiche specifiche dei vini toscani?
«La Toscana è un territorio molto netto e diversificato. Basti pensare che i vini che ho nominato sono tutti a base Sangiovese, ma variano molto l’uno dall’altro. È un’uva non semplice, le cui lavorazione e maturazione ricordano il Pinot nero. Io poi sono una grande patita di bianchi come il Vermentino, sapido e corposo, e di vitigni autoctoni quali il Prugnolo Gentile e il Ciliegiolo, che grazie alla forza, alla passione e alla perseveranza di molti produttori stanno ritornando a essere noti e apprezzati al di fuori dei loro territori d’origine».
Quali vini abbineresti a un salume storico della cucina toscana quale il Prosciutto Toscano?
«I toscani sono bravissimi a proporre sempre in matrimonio i loro prodotti enogastronomici, quindi se ordinassi un tagliere di Prosciutto Toscano, non mi verrebbe mai in mente di chiedere il vino di un’altra regione. Ciò che mi piace di questo prosciutto rispetto agli altri sono la stagionatura e la sapidità più marcate. Lo riconosci a occhi chiusi fra tutti. Da contraltare, dunque, cercherei di accompagnargli un vino morbido e fresco come i già citati Rosso di Montalcino e Morellino giovane. In abbinamento con una polentina ai ferri e del grasso, invece, lo assaggerei volentieri anche con un Chianti classico o con un Brunello, vini con più riserva. In questa stagione calda, poi, proporrei anche una bolla o un bianco molto fresco, quale la Vernaccia di San Gimignano».
Nella tua esperienza enologica, qual è il personaggio che più ti è rimasto impresso?
«Giacomo Tachis è stato una figura che mi ha molto segnata. Era un finto burbero, una persona con un’esperienza pazzesca che è riuscita a trasmettermi l’unicità di questo mondo. Pensiamo solo a tutto ciò che ha fatto per tirare fuori dalla Sardegna un vino come il Turriga».
Un mito da sfatare nel mondo del vino?
«I bianchi in barrique. Li abbiamo importati in Italia negli anni Ottanta facendoli degenerare in un estremismo pazzesco. Sono vini finti perfettini ed è vergognoso che vengano prodotti ancora oggi. Li toglierei proprio dal mercato».
Dopo la pandemia, è cambiato il modo generale di approcciarsi al vino?
«Gli italiani hanno fatto una scoperta pazzesca: il vino si può comprare online! Sicuramente il consumo casalingo, che prima della pandemia era più basso rispetto ad altri paesi del Nord Europa, è tornato ad avere numeri molto interessanti. La reazione in quest’ultimo periodo è quella di tornare alla vita precedente, ma tra le cose che non abbandoneremo c’è senz’altro l’acquisto di vino online».